Corpo a corpo: il tatuaggio tra ideali e moda
A lungo il corpo è stato il solo bene materiale di diverse categorie di persone, che ne hanno fatto una mappa della propria vita, una bandiera, un messaggio.
Il corpo come luogo, espressione di sé.
Ecco perché oggi, cara viaggiatrice e caro viaggiatore, ti racconteremo del tatuaggio, un linguaggio che fra simboli e citazioni, ha attraversato i secoli e le epoche.
La pratica del tatuaggio è antica, affonda nella preistoria – come documenta il corpo incartapecorito della mummia “Ötzi” – dove i simboli impressi nella carne pare avessero una funzione terapeutica.
La presenza però di marchiature non è mai venuta meno, soprattutto il filone che vi individuò una maniera di testimoniare un’appartenenza, ad una specifica gilda di artigiani, ad un certo tipo di lavoro (marinai, soldati…), ad una condizione (galeotti), senza dimenticare il segno punitivo come il giglio per le prostitute in Francia.
La pratica divenne poi di moda con i cosiddetti simboli “tribali” importati in Europa dai marinai di James Cook, di ritorno da Tahiti alla fine del ‘700.
L’aspetto più interessante per il nostro ambito di studio tuttavia è quello che riguarda le idee, l’uso della propria pelle come pagina, messaggio in codice o sfacciata rivendicazione.
Nell’antichità i pellegrini cristiani utilizzarono il tatuaggio come diario di viaggio, per rendere indimenticata un’esperienza indimenticabile; oppure i cavalieri Crociati, i quali – ispirandosi all’”SPQR” dei legionari romani- fregiarono il corpo di simboli religiosi per evitare, in caso di morte, di venire confusi con gli “infedeli” ed essere sepolti in terra sconsacrata, questo nonostante Papa Adriano I, nell’VIII secolo, avesse vietato l’uso di tatuaggi, ormai diffuso al punto che i frati marcatori del Santuario di Loreto erano particolarmente noti per il loro talento.
Con la Rivoluzione francese assistiamo alla diffusione su larga scala del tatuaggio come dichiarazione di intenti e valori oltre che di appartenenza. Fanno la loro comparsa disegni del cappello frigio, simbolo di libertà, accanto ai motti scanditi per le strade di Parigi e poi diffusisi in tutta Europa: liberté, égalité, fraternité.
Questa fu una stagione che, con la Restaurazione, sembrò rapidamente tramontare ma il tatuaggio conobbe una successiva diffusione – paragonabile alla moda odierna – a metà Ottocento, dove tutte le classi sociali se ne fecero contagiare eccetto, pare, la borghesia, non così chiusa come le classi nobiliari da rivendicare un’appartenenza di censo e desiderosa di distinguersi da un’estetica proletaria.
Proprio questa identificazione del tatuaggio con le bettole dei porti, con mestieri precari e promiscui, o con popolazioni di terre selvagge, portarono Cesare Lombroso a classificare i tatuaggi come elemento distintivo del potenziale criminale.
L’antropologo infatti vedeva il marchio indelebile come manifesto della natura violenta dell’individuo che se lo era impresso, sintomo di una propensione alla delinquenza e alla regressione ad uno stadio primitivo, quindi istintuale e bestiale.
Sulle tracce di Lombroso altri medici, per quanto riguarda l’Italia, studiarono i galeotti del domicilio coatto di Favignana. Qui il dott. Emanuele Mirabella, anche lui come Lombroso antropologo criminale, studiò attraverso i tatuaggi l’identikit del delinquente all’alba del ‘900 riscontrando la diffusione di un nuovo filone di immagini e slogan.
Alcuni toraci e bicipiti iniziavano a riportare scritte inneggianti il re e la bandiera tricolore della giovane Italia, tatuaggi scelti soprattutto da criminali comuni, magari ex militari, i quali speravano così di dare segno di fedeltà allo stato unito e riceverne la grazia.
Interessante il tatuaggio garibaldino, molto in voga fra i prigionieri provenienti soprattutto dalle regioni del sud, dove si riproduceva il volto dell’eroe o la scritta “viva Garibaldi”.
Sempre in questo periodo, soprattutto per regioni quali Toscana, Marche e Romagna, fanno la loro comparsa simboli riferiti all‘ideale anarchico con scritte – ben documentate anche da preziose immagini fotografiche – come: “Viva l’anarchia”, anche sintetizzato in sigle – di fatto codici per gli “iniziati”- “W. A.”; o ancora “W.L.R.S” che stava per “Viva la rivoluzione sociale”; nomi come “Caserio”, l’anarchico che uccise il presidente della repubblica francese Carnot nel 1894, oppure simboli come la bomba con la miccia, la fiamma o il gatto nero arruffato dell’anarcosindacalismo americano.
Il corpo come manifesto e affermazione di una fede, di una dignità non cancellabile da carcere, ostracismo o privazioni.
La Prima guerra mondiale, il fascismo, il nazismo e la nuova guerra poi hanno segnato un’epoca di decadenza della pratica del tatuaggio, rimasto sempre presente ma negli angoli della società.
E’ poi con la controcultura degli anni ’70 del ‘900 che ritorna alla ribalta, tuttavia senza aver conservato, almeno per quanto concerne l’Italia, legami con il proprio passato di nobiltà, mestieri o ideali, dove i tratti e i colori erano sì grossolani e imprecisi ma profondamente carichi di significato a discapito della perfezione raggiunta ai giorni nostri, totalmente estetica, dove spesso anche il significato dietro alla simbologia è caduto nel dimenticatoio.
Oggi, a parte la moda del disegno che talvolta è ancora rivendicazione di ideali o di esperienze, il tatuaggio come tradizione di comunicazione è rimasto solo in alcuni ambiti della società, per lo più della malavita organizzata – non solo in Italia -, confermando il potere di questo linguaggio in cui il corpo diventa portatore di codici segreti, identificazione con un gruppo sociale specifico.
Il tatuaggio ha dunque mantenuto nei secoli il ruolo di marchio per iniziati, in gran parte celato dagli abiti; attualmente invece coincide con l’esibizione dell’io proprio ammiccando dalla pelle lasciata scoperta dai vestiti, di fatto esibito. Disegni che non circoscrivono un’esperienza condivisa come categoria o gruppo sociale ma un fatto privato, personale, non decodificabile da terzi.
Un fatto è certo, la tradizione di disegnarsi la vita e i sentimenti sulla pelle è sempre esistita, abitudine istintuale tanto quanto di civiltà razionali, dei reietti come dei divi, con buona pace di Lombroso.
Foto di Izzah Zainab CC BY-SA 2.0
Tatuaggi politici da oltrelapelle.tumbler.com CC BY-SA 2.0
Giuseppe Garibaldi