L’Ascensore e la Memoria, il diritto e dovere dei luoghi
Cara Viaggiatrice, Caro Viaggiatore,
Quanto abbiamo il diritto di modificare e intervenire sui luoghi di memoria per continuare a narrare una particolare storia?
Quanto abbiamo il dovere di preservare, conservare e non alterare il luogo in quanto testimone?
E qual è il confine tra luogo di memoria e meta turistica?
Viaggi della memoria, facendo proprio l’approccio Istoreco di andare dove la storia si è svolta interrogando il luogo come un testimone, ha portato visitatori in molti siti del ‘900 dove l’Olocausto, il Porrajmos e l’oppressione vengono raccontati da monumenti come a Berlino, da musei come lo Yad Vashem, da luoghi di memoria come Birkenau, o da prati incolti come a Gonars, e talvolta queste domande sul nostro diritto/dovere sono tornate a bussare.
E’ maggio ed è da poco passato l’anniversario, ricordato in una cerimonia internazionale sempre molto partecipata, della liberazione del Campo di concentramento di Mauthausen in Austria.
Questo lager venne liberato dall’esercito americano il 5 maggio del 1945 e, da allora, è uno dei luoghi di memoria legati alla storia del nazismo – e del fascismo – più visitati al mondo.
Nei ricordi dei sopravvissuti e dei tanti visitatori è la cosiddetta Scala della morte a rimanere impressa e raccontata:186 gradini che i detenuti dovevano risalire a file di cinque portando sulle spalle i massi estratti dalla vicina cava di granito.
Una scala che è solida testimonianza delle condizioni di vita e di lavoro all’interno del lager, della totale disumanizzazione dei prigionieri lentamente consunti dalla denutrizione, dalla fatica, dalle vessazioni.
Proprio questa scala ha riportato con forza le domande alla nostra attenzione, poiché dall’estate del 2018 sorge accanto a questa salita di tortura un ascensore, una torre in cemento per permettere ai visitatori – disabili e non – di superare il dislivello che separa il cortile della autorimesse dalla cava.
La costruzione dell’elevatore ha suscitato molte polemiche negli ambienti degli ex deportati e delle associazioni che ne raccolgono e trasmettono la memoria, soprattutto da parte del CIM – il comitato internazionale di Mauthausen – che rappresenta i sopravvissuti e conta al suo interno delegazioni di 23 nazionalità.
Le critiche riguardano il mancato confronto sul progetto, il tipo di intervento decisamente impattante, le motivazioni alla base della realizzazione giustificata dal governo di Vienna con la non conformità alle norme di sicurezza della scala in questione.
Il timore diffuso è di una superficialità nella tutela di un luogo simbolo del sistema concentrazionario nazista, giunto quasi integro ai nostri giorni, in un momento in cui per cause anagrafiche i testimoni in carne ed ossa ci stanno lasciando.
Mauthausen sorge a qualche decina di chilometri da Linz, qui i nazisti nel 1938 scelsero di ricavare da un’antica fortezza militare un lager per sfruttare le cave di granito della zona, roccia preziosa per le opere architettoniche che, nei progetti di Adolf Hitler e dell’architetto di regime Albert Speer, dovevano testimoniare la grandezza della nuova Germania.
La funzione prevalente del campo è la reclusione e persecuzione degli oppositori politici del regime nazista – e successivamente della Repubblica sociale italiana -, per questo scopo il campo è classificato di categoria “3” ovvero di punizione e annientamento fisico del prigioniero attraverso il lavoro. L’ obiettivo è perfettamente rappresentato dalla “scala della morte” e dal precipizio – “parete dei paracadutisti”- da cui spesso venivano gettati gli operai una volta arrivati in cima; dall’uso delle camere a gas; dalle condanne a morire di fame e sete nel “blocco della morte” e via via in un catalogo degli orrori particolarmente ricco.
Non è possibile calcolare con esattezza il numero delle vittime del Campo ma per difetto si stima che, al 1938 alla liberazione, a Mauthausem, Gusen e nei campi-satellite siano stati assassinati più di 90.000 prigionieri, la maggior parte – oltre 36.000- solo nei primi quattro mesi del ’45.
Non è semplice visitare un luogo simile e cercare, lentamente, di comprenderlo nei suoi meccanismi e nel suo significato all’epoca e oggi. E’ necessario non dare nulla per scontato, nulla per assodato; fondamentale è non cercare la scorciatoia dell’emotività o la cartolina – macabra – del turista rapido e distratto.
Probabilmente, nei sopravvissuti come in chi cerca ancora di capire e dotarsi di strumenti per il presente, quell’ascensore rappresenta una semplificazione, una “toccata e fuga”, un bruciare i passi e non soffermarsi sui pensieri, oltre che una deturpazione del sito storico.
Pierre Nora, storico francese, ha scritto che i luoghi di memoria aiutano a “fermare il tempo, bloccare il lavoro dell’oblio, fissare uno stato di cose, rendere immortale la morte, materializzare l’immateriale per racchiudere il massimo del significato nel minimo dei segni”.
Uno spazio può avere pieno significato indipendentemente da che vi siano costruzioni emblematiche o segni tangibili: è il racconto storico a darvi significato, è la cura a renderlo speciale.
Indipendentemente da come la si pensi sull’ascensore di Mauthausen e sul come affrontare la visita ai presidi tragici di memoria, è il confronto allargato all’interno della società su una storia, su come narrarla, che la rende duratura e significante.
Farsi carico di un luogo di memoria non è solo aprirlo tutte le mattine ai visitatori ed evitare che il passare del tempo e delle intemperie lo rendano indecifrabile, significa tenerlo vivo all’interno di una comunità, affinché questa nel suo insieme se ne assuma la responsabilità, lo preservi e tramandi, riflettendo su se stessa.
Scala della morte oggi, Mauthausen, Foto da www.deportati.it
Torretta, Mauthausen Foto di Ramón Cutanda López CC BY-SA 2.0
Ascensore , Mauthausen, Foto da ANPI Sant’Ilario d’Enza (RE)