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Le rotte della memoria: italiani in Svizzera

Gli italiani e il referendum in Svizzera contro i lavoratori stranieri

Il desiderio, la spinta al mettersi in viaggio nasce spesso dalla curiosità, dalla voglia di avventura e di incontro ma sempre più negli ultimi decenni questo stimolo ha a che fare con le proprie radici.

Cara Viaggiatrice, Caro Viaggiatore,

capita spesso di incontrare persone, più o meno giovani, in viaggio per vedere i luoghi dove parenti stretti come nonni, genitori o zii sono nati, dove hanno sofferto battaglie, prigionie e deportazioni nelle guerre mondiali oppure, e sempre più, dove sono emigrati per migliorare le proprie condizioni di vita in conseguenza delle ondate di lavoratori che hanno caratterizzato il Novecento e interessato con diverse modalità e diversa intensità ogni nazione e ogni continente.

E’ così che in alcuni piccoli comuni si trovano piazze dedicate ai migranti o monumenti commemorativi di compaesani morti di lavoro lontano dalla propria casa, come quello a Castel del Monte in Abruzzo che ricorda la strage di Marcinelle (Belgio) dove tanti uomini, partiti da quelle terre dure, rimasero vittime dell’incendio sviluppatosi nella miniera di carbone in cui erano impiegati.

 

Rotte sociali ed economiche che ancora oggi vengono percorse

Rotte sociali ed economiche che ancora oggi vengono percorse dagli studenti fuori sede o neolaureati, da docenti in supplenza, da operai e impiegati vari, alla ricerca di occasioni professionali, di stipendi o contratti decenti.

E’ così possibile incontrare testimoni di quelle esperienze in ogni casa e farsi raccontare di chi partiva e di chi restava, conoscere i traumi celati dalla vita quotidiana e manifestati in abitudini o in piccole ostilità come il rifiuto a parlare francese, lingua imparata in Belgio o in Svizzera, perché retaggio di giorni che hanno a che fare con la miseria, l’umiliazione, lo sradicamento.

 

Durante uno di questi racconti fatti tra un caffè e l’altro non è insolito sentir parlare del “Referendum per cacciare gli italiani dalla Svizzera”, che in realtà era una votazione per diminuire il numero degli immigrati in generale ma la cui maggioranza era composta da italiani.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale al 1968 infatti erano arrivati in Svizzera circa due milioni di italiani, in un primo momento soprattutto dal Veneto, dalla Lombardia e dal Friuli per poi essere seguiti dagli abitanti del sud. Così verso questa categoria di stranieri vennero canalizzati immaginario e propaganda ostile e loro, gli italiani in Svizzera, vissero quegli anni come una crociata di cui erano le vittime.

Prima gli svizzeri!

Era il 1968 quando il parlamentare della Nationelle Aktion, un partito di destra, tale James Schwarzenbach promosse la raccolta firme per indire un referendum per aggiungere un articolo alla costituzione elvetica e portare dal 17 al 10 la percentuale di immigrati sul territorio nazionale.
Il politico per promuovere la sua campagna coniò alcune parole d’ordine che da allora risuonano ciclicamente in discorsi a ogni latitudine, come ad esempio “prima gli svizzeri”.

Gli slogan ricamarono una comunicazione in senso antistraniero basata sulla diversità quasi antropologica con “l’altro” non essendoci motivi economici di ostilità, dovendo anzi importare manodopoera per sopperire alle esigenze del paese. Schwarzenbach si concentrò quindi sulla chiusura verso l’esterno, sulla difesa, denunciò “l’inforestierimento” ovvero il rischio di perdita della propria identità nazionale.
Ovviamente l’articolo costituzionale proposto non intendeva intaccare la componente di studenti, turisti e di lavoratori stagionali – a cui per legge non potevano ricongiungersi i famigliari e non potevano godere di particolari diritti.

 

Gli italiani residenti nella Confederazione negli anni sessanta erano circa cinquecento mila e su di loro si catalizza così l’attenzione della campagna politica e mediatica. Come palesato dal documentario “Siamo italiani” del 1964 del regista svizzero A. J. Seiler, questi lavoratori erano facilmente individuabili come reietti perché arrivavano sporchi, in massa, spesso analfabeti o conoscendo al massimo l’italiano, perché rumorosi e perché si diceva rubassero i lavori migliori, i posti letto in ospedale, per non parlare del loro approccio con le donne. Non era raro, in quegli anni, trovare cartelli in luoghi pubblici e negozi del tipo “vietato ai cani e agli italiani”.

 

E’ del 1973 uno splendido film con Nino Manfredi “Pane e Cioccolata” dove viene raccontata la vita di un migrante italiano proprio in Svizzera, in cui si sottolinea l’isolamento, il senso di frustrazione e di razzismo culturale che lo porta ad ossigenarsi i capelli e a non tifare gli Azzurri ai mondiali per non venire riconosciuto come straniero.

Schwarzenbach ottiene infine le firme necessarie a presentare il referendum contro i lavoratori migranti e il 7 giugno 1970 gli svizzeri sono chiamati alle urne per decidere se cacciare migliaia di stranieri, tra cui trecento mila italiani.
Vince il “no” per solo centomila voti, il 4%, dato dietro al quale si nasconde la necessità di un paese propspero di avere manodopera a basso costo e senza tutele ma che, nel 46% – in chi votò per ridurre il numero di stranieri – palesa la necessità di un capro espiatorio buono per tutte le evenienze, palesa la difficoltà di convivenza tra culture differenti nei quartieri popolari, denuncia la clandestinità, racconta di famiglie spezzate, di genitori che lasciano i figli in custodia ai nonni perché impossibilitati a protarli con sé non essendo forza produttiva. Un referendum dietro al quale si celano vite, esperienze, sofferenze e orizzonti che cambiano.

E’ uscito quest’anno un’interessante libro autobiografico, dal titolo emblematico: “Cacciateli!” che racconta proprio quegli anni a cavallo tra gli anni sessanta e settanta in Svizzera, concentrandosi sulla campagna politica antistraniera e sulle conseguenze nella vita quotidiana di uomini donne e bambini alle prese con i vicini di casa, i panettieri e gli insegnanti. Scritto dal giornalista Concetto Vecchio, quegli anni descritti vissuti dall’autore, bimbo emigrato, tratteggiano una società dove, nonostante la sconfitta di Schwarzenbach, la discriminazione verso “l’altro” è stata sdoganata e giustificata.

Storie di vita che praticamente ogni famiglia italiana ha nel proprio album dei ricordi accanto a cartoline, luoghi con nomi talvolta storipiati, fotografie e incontri,

perché i Viaggi della Memoria possono seguire rotte sorprendenti.

Nave di immigrati italiani arrivati in Brasile, 1907 Foto Wikipedia

Emigrati italiani a Toronto,Canada, data sconosciuta Foto Wikipedia

James Schwarzenbach, Foto Wikipedia